Here, Robert Zemeckis, 2024
La storia che si ripete, circolare. La storia dell'uomo, la storia del mondo, la vita.
Il cerchio della vita, il tempo che vola. Le cose che cambiano, cambiamo noi o forse no. Il nostro andare è sempre un tornare dove siamo stati felici, nei luoghi che sanno di noi e che ci raccontano.
Raccontano della vita, della morte, di tutto quello che scorre nel mezzo, della fine che è sempre un altro inizio e della memoria che è identità.
È tutto qui, nell'eterno presente di un'umanità immortale e immortalata in un solo punto di vista della macchina da presa di Zemeckis che sovrappone piccoli frame, come polaroid, nello spazio unico di uno sfondo che si scompone e ricompone su piani temporali diversi. Il regista fa con l'inquadratura quello che Picasso fa con la pittura: il tempo, reso bidimensionale nell'immagine in movimento, diventa la planimetria sdrotolata della vita, non dell'uomo ma dell'umanità e forse del mondo. Per trovarne il senso e magari riscoprire il valore inestimabile dell'unicità di qualcosa che scorre sempre uguale eppure sempre nuova e diversa.
«Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito. Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua, dove non fui mai» le parole di Giorgio Caproni potrebbero essere la sinossi del film di Zemeckis. In entrambi i linguaggi, poetico e cinematografico, la vita è poesia, la vita è.
Qui.
Sempre.
Here è propriamente un racconto per immagini. Emozioni da vedere: cinema.